La storia di come ho imparato a gestire le mie emozioni con il calcio

E’ un periodo di forte stress per me. Ho tre siti da finire, di cui due devono partire il prima possibile perché appartenenti al settore turistico. Sul terzo comunque ho iniziato a mettere le mani quattro mesi fa ormai. Il senso di colpa mi ha impedito di aggiornare questo blog nelle ultime settimane, anche perché siti non finiti significa incassi mancati. Tuttavia, dopo la storia di come ho imparato a vendere, sento il bisogno di raccontarvi la storia di come ho imparato a gestire le mie emozioni con il calcio.

Ho iniziato a giocare a calcio. Sì, quello a 11 giocatori. Sì, ho iniziato a farlo ad un’età in cui i calciatori professionisti smettono, ma io sono tra gli amatori. Perché? Probabilmente per un’incombente e fisiologica crisi di mezz’età, “ufficialmente” per rimettermi in forma. Ci sono riuscito? Sì, ho perso 7kg negli ultimi mesi, ma soprattutto la mia massa corporea è ridefinita tra cosce e glutei. Sono stato sempre preso in giro per il mio fondoschiena molto “femminile”, ma ora le cose sono cambiate. Se qualcuno ne era attratto, se ne farà una ragione, perché al di là dell’aspetto fisico quest’avventura sta forgiando il mio carattere.

I primi allenamenti nell’ottobre 2015 sono stati una pacchia: in attacco, senza che nessuno che mi marcasse. Poi si sono accorti che segnavo, e la palla non l’ho vista più per un periodo. Questo fatto, assieme alla pioggia e al freddo, mi stava quasi spingendo a lasciar perdere, senza contare che mio figlio mi faceva sentire in colpa per quelle ore in cui mancavo da casa. A quel punto è stata mia moglie però ad incoraggiarmi, ed ho superato quella fase. La soddisfazione più bella l’ho ricevuta a fine stagione, quando i compagni mi hanno chiesto di diventare il presidente della squadra.

La stagione 2016/2017 l’ho praticamente vissuta in pieno, fin dalla preparazione. Ho partecipato a quasi tutte le partite, deciso a dare il mio contributo non solo a livello politico, ma anche su quello atletico. Il bello è che il mister sa esattamente come gestirmi; in quei 5-10 minuti che riesco a reggere sono riuscito a lasciare il segno in due partite: gol nell’amichevole pre-campionato con lo Schieti (una squadra di seconda categoria, wow!) e assist decisivo contro il Tustaveda.

Il gol è stata una pura formalità che chiunque avrebbe potuto assolvere: su un lancio dalla difesa il mio compagno d’attacco si è infilato nello spazio tra difensore e portiere, ed io ho approfittato della confusione per buttarla dentro, in una partita che non contava nulla e che abbiamo perso alla fine per 7-1. Completamente diversa è stata la sensazione dopo l’assist in quel d’Urbania: la sensazione di aver fatto la cosa giusta al momento giusto trovandomi nel posto giusto. Spendere le ultime energie inseguendo il tuo compagno che stava esultando. Il triplice fischio finale dell’arbitro e i tre punti portati a casa. I compagni che ti acclamano al rientro negli spogliatoi, dopo che loro hanno corso 80 minuti e tu solo per 5.

Come ho accennato, queste esperienze stanno cambiando soprattutto il mio carattere. Sono stato introverso quando ancora non era mainstream, ma ora sento che senza questo gruppo perderei qualcosa, perché non tutti i gruppi sono finalizzati a delinquere. Ho realizzato che un po’ di sano cinismo è fondamentale per raggiungere certi obiettivi. Ma c’è ancora un’altra lezione che ho imparato e che voglio condividere con voi.

Attendevo con ansia l’allenamento di ieri sera, sia per smaltire gli eccessi di Pasqua e Pasquetta, sia per dare sfogo allo stress di cui ho parlato all’inizio. Nelle prime uscite del 2015 tornavo a casa sentendo di non aver speso tutto: il fiato corto non mi permetteva di liberare i muscoli dall’acido lattico. Quest’anno però le cose vanno decisamente meglio. Un mio compagno sostiene che attorno a me, nel raggio di un metro, non c’è ossigeno perché lo respiro tutto io. Alla fine della sessione di training sono completamente sfinito, al punto che la vista si appanna. Insomma, quella storia di “tutto il giorno di corsa, a pranzo un panino e ora non ci vedo più dalla fame” non è una leggenda metropolitana.

Ieri sera però le cose hanno preso una dinamica ancora peggiore: sono stato colto da crampi ai polpacci già dopo il riscaldamento, segno che il mio corpo non aveva a disposizione i sali minerali. Non ho interpretato correttamente questo segnale, e ho iniziato la partitella. Mi sono accorto che i contrasti mi innervosivano in maniera immotivata, e ho smesso di correre senza palla. Con la palla tra i piedi mi incaponivo in azioni personali o in lanci nel vuoto, senza accorgermi di avere dei compagni vicino.

Così sono tornato negli spogliatoi, non senza destare qualche preoccupazione negli altri, senza nessun danno apparente, ma ferito nell’orgoglio. Mi sono seduto sulla panca, accettando un chewing-gum per assumere un po’ di zuccheri. Cosa mi stava accadendo? Forse la dieta troppo ferrea? Forse non ero riuscito a lasciare le preoccupazioni del lavoro fuori dal campo? O forse stavo riuscendo nell’impresa di non provare più piacere nel calcio, vivendo quest’esperienza solo con il senso della responsabilità e del dovere?

E’ proprio parlando con un medico questa mattina che è venuta fuori questa storia del piacere. Alla fine tutto quello che facciamo nella vita è orientato a procurarci piacere. Solo che in persone come me nasce la convinzione che il piacere sia qualcosa di peccaminoso, o immeritato, o semplicemente non alla propria portata. Ed ecco infatti che ho smesso di provare piacere anche nel lavoro che personalmente mi sono scelto. Riesco a lavorare con soddisfazione solo quando il mio intervento è questione di vita o di morte per il business del cliente, e non riesco a portare a termine un progetto. Quest’attitudine – diciamocelo – complicata stava diventando anche quella con cui affrontare l’esperienza del calcio.

Ma se rinunciamo a cercare il piacere in quello che facciamo, inevitabilmente sarà il livello di stress a salire, perché sono elementi inversamente proporzionali. Persino il piacere per eccellenza, ovvero quello sessuale, può essere annullato: non avete mai sentito parlare di “dovere coniugale”?

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